lunedì 11 maggio 2009

Going to Namibia (Easter 2009)

Dancer in the dark (CapeTown-Clanwilliam)
I propositi per il primo giorno di vacanza erano molto buoni: bagagli gia’ incasati nel baule della mitica tazz, il djembe al posto del passeggero, frigo portatile ripieno di carnazza e frutta e ghiaccio, carbone e diavolina per il braai, acqua e olio tutt’apposto…finiamo presto di lavorare per arrivare alla prima tappa prima che il sole tramonti.
Ma sai, qualcosa puo’ andare storto nei tuoi piani se, dopo 100 km ti rendi conto di avere dimenticato il passaporto.
Dopo essere ritornati indietro fino al punto di partenza e avere finalmente preso proprio tutto (ma non potevamo dimenticarci il djembe, piuttosto?) via, siamo pronti per Clanwilliam, quando il sole e’ gia’ bello che tramontato.
Durante il percorso ci ricordiamo di avere stampato il foglio con la mappa per arrivare alla farm dove andremo a dormire e, incredibile, quello ce l’abbiamo.
Dunque, dovrebbe essere appena fuori Clanwilliam..ma poi leggendo bene l’appena vuol dire 50km di strada sterrata.
Siamo un po’ intimoriti ma non ci perdiamo d’animo e decidiamo di procedere come in una danza, passo per passo: primo passo (ouverture), imboccare lo sterrato giusto; secondo (definire il ritmo) superare la riserva dei bushmen; terzo (tenere vivo il passo) superare il cimitero indicato nella mappa; quarto (virtuosismi) fare un paio di piroette nella bidouw valley al chiaro di luna; quinto (acrobazie) saltare i cancelli che delimitano il territorio della farm; sesto (prepararsi agli applausi o agli schiaffi..) svegliare il giovane margaro all’1 di notte. Per finire con un bel casque’ nel letto!


Tra spuntone e solleone (Clanwilliam-Springbok)
Dopo una bella dormitona, aprendo gli occhi ci accorgiamo di esser finiti proprio in mezzo ad un ameno paesaggio!
La farm, miracolosamente raggiunta al chiaro di luna, e’ di proprieta’ di due giovani tedeschi che hanno deciso – 3 anni fa – di venire a vivere in questa solitaria e assolatissima vallata, lontani dalla civilta’, laddove le regole le fa la natura.
Facendo un giretto nella loro casa, c’accorgiamo che comunque non disdegnano affatto la civilta’: pile di dvd, internet satellitare, domestica indigena al servizio e pure un sistema ingegnoso per l’aria condizionata. Inoltre, scopriamo che poco distante dalla casa, c’e’ una piscina di acqua di sorgente, fresca fresca dai monti del Cederberg, con vista mozzafiato. Evvabbe, volendo cosi’ ci riusciamo anche noi.
Dopo aver fatto colazione nel giardino a 40 gradi, dobbiamo necessariamente tenere fede al programma del giorno precedente: la carne va arrostita.
E cosi’, mentre l’uomo arrostisce, la donna va alla scoperta di possibili soggetti da immortalare.
Il risultato e’ uno spuntone conficcato nel piede della fotografa in erba e della carne alla diavolina difficilmente commestibile; cosi’, con la coda fra le gambe, decidiamo che e’ ora di metterci in cammino verso la prossima tappa: Springbok.
Il viaggio e’ lungo ma il paesaggio e’ incommensurabile. Una strada in mezzo a montagne e vallate, senza neanche una mucca per almeno 300km.
Raggiungiamo la cittadina ormai verso sera e ci accomodiamo nel campeggio-motel, ovvero un posto auto trasformato in piazzola camping con qualche sparuto alberello a fare finta di fare ombra e due ranocchi a fare compagnia (di altri campeggiatori neanche l’odore).
La visita alla cittadina piu’ grande del nord-ovest non e’ molto entusiasmante: notiamo solo una passione smisurata e insensata per le lucette colorate, ad “abbellire” ogni casa ed edificio della citta’.

La visione del canyon da vicino (Springbok-Hobas)
Nonostante avessimo piazzato la tenda solo dopo accurati calcoli cosmologici sulla rotazione terrestre e sulla posizione del sole al mattino, alle 7.30 dobbiamo rotolarci fuori dalla tenda senza fiato per il caldo insopportabile: la grande palla di fuoco punta diretta sulle nostre teste.
Per fortuna i bagni sono vicini e dopo una doccia fresca, salutiamo gli amici ranocchi e lasciamo senza troppe cerimonie il campeggio.
Siamo impazienti perche’ solo un paio di centinaia di km ci separano dalla nostra meta: la Namibia. E dunque si va.
Alla frontiera ritroviamo la nostra amica burocrazia: e noi che ci lamentavamo per le application form dell’universita’! Principianti! Ben altro livello e’ questo alla dogana.
Trascorriamo quindi un po’ di tempo a collezionare timbri, dare informazioni su chi siamo, dove andiamo, cosa portiamo e soprattutto quanti fiorini abbiamo e poi finalmente siamo liberi e in namibia.
E’ assurdo, sembra che veramente qualcuno abbia disegnato a terra una linea di confine tra i due stati: il paesaggio cambia appena usciti dall’ufficio doganale!
Ci godiamo quello che ci avvolge: savana, montagne e collinette di pietre annerite dal sole; neanche un albero o una casa a perdita d’occhio (figuriamoci un baretto per una birra fresca!).
Con un po’ di terrore, scopriamo che in tutta la regione che visiteremo c’e’ una sola strada asfaltata (6 in tutta la namibia), e cioe’ quella che stiamo percorrendo noi, che ti porta dal confine sud fino a Windhoek, la capitale.
Poi, se vuoi raggiungere qualsiasi altro luogo, non hai che da scegliere una delle strade sterrate che si diramano dalla B1.
E cosi’, dopo qualche comodo chilometro, arriva anche per noi il momento di girare in una delle mille dirt road, per poter raggiungere hobas e da li’ il fish river canyon.
Per fortuna la nostra mitica tazz si traveste da 4x4 e si diverte a sgommare fino a destinazione. Senza queste performance probabilmente saremmo diventati prelibato spuntino di qualche struzzo..
Dopo 80km di rovente sterrato e tanta tanta polvere, arriviamo quindi al nostro secondo campeggio.. un’oasi nel deserto: alberi, ombra, umanita’ e addirittura una piscina fresca dove mettere a bagno le chiappette.
Contenti, facciamo quindi i nostri complicatissimi calcoli di routine per vedere dove picchettare la tenda e poi, rinfrescati da un tuffo assieme ad altri avventurieri, andiamo a goderci il tramonto sul canyon, con una bella bottiglia di vino locale.
Allo spettacolo del canyon non si puo’ arrivare pronti: vedere una tale bellezza per la prima volta e’ un’emozione come poche.
Siamo rimasti imbambolati sul ciglio dello strapiombo per non si sa quanto tempo, sul punto di metterci a piangere e decisamente frastornati.
A riportarci alla realta’, solo le odiose vocine di altri turisti: in un momento cosi’ vorresti essere l’unico uomo sulla terra.
Aspettiamo dunque che tutti vadano via per goderci ancora un po’ l’estasiante luce rosata del cielo e il silenzio e questa meraviglia proprio sotto i nostri piedi e poi..un richiamo piu’ forte si fa sentire: i nostri stomaci ruggiscono, non mangiamo da ore e ore, abbiamo bisogno di cibo.
Non trovando nulla da addentare nel “fornitissimo” market del campeggio (cartoline, alcol e biscottini sono gli unici tre articoli in vendita) ci rendiamo conto che ci aspettano altri km da macinare per raggiungere l’unico ristorante della zona. Montiamo percio’ sulla fedele tazz e piano piano, tra una buca e l’altra, arriviamo non in un’oasi...in un paradiso.
Maro’ e che e’? Lusso sfrenato per ricconi in mezzo al deserto.
Arriviamo infatti in un villaggio-vacanze costruito sulle ceneri di una ex-farm di ottocenteschi avventurieri che farebbe invidia ad un holiday inn a cinque stelle.
Scendendo dalla macchina, ci scrolliamo di dosso un po’ di polvere e decidiamo che siamo troppo affamati per farci prendere da orgoglio proletario e propositi anti-consumisti: all’arrembaggio della tavola imbandita!
Aaah, con una cospicua e gradita quantita’ di cibo e una bella cascata di vinello ad innaffiare lo stomaco riprendiamo la via del ritorno; anche le buche della strada ci sembrano meno profonde adesso e crolliamo stanchi e felici sotto le fronde del nostro alberello in campeggio.

Satellitare mon amour (Hobas)
Anche stavolta abbiamo toppato: mentre la tazz e’ ben parcheggiata sotto le fresche frasche (avra’ qualcosa di demoniaco?), noi ci rosoliamo ben bene al caldo nella tenda. Siamo inondati dal calore mattutino ancora una volta e dobbiamo catapultarci fuori prima di morire asfissiati.
Inizia cosi’ ben presto un’altra calda e lunga giornata.
Ci rendiamo subito conto che, nonostante tutto, siamo stati i piu’ dormiglioni: il campeggio e’ gia’ praticamente deserto, i nostri colleghi avventurieri sono gia’ in giro da chissa’ quanto ad alzare polvere e ammirare paesaggi.
Gambe in spalla, andiamo di nuovo verso il canyon, per ammirarlo sotto una nuova luce e nuove angolazioni: anche a 45 gradi meraviglia e stupisce.
Verso ora di pranzo cediamo alla tentazione di ritornare nel paradiso dei ricconi e concederci un bel pranzetto per santificare il sabato di pasqua. Scopriamo anche che da questo villaggio e’ possibile telefonare in italy e approfittiamo della megagalattica antenna satellitare per dare notizie a casa (dopo 3 giorni c’avranno dati per dispersi).
Assurdo, si sente anche meglio che da un telefono fisso sud-africano!
Il programma per il pomeriggio prevede un giretto nei dintorni, qualche pausa-foto qua e la’, un bagnetto in piscina, tramonto sul canyon e poi accettiamo di buon grado un invito a cena dalla simpatica namibiana che gestisce il campeggio.
Ci vuole far credere che quella che lei chiama “insalata namibiana” sia un’invenzione namibiana: pasta fredda, pomodorini, tonno...mmmhmm, vabbe’ lasciamo perdere le nostre convinzioni culinarie e onoriamo la nostra ospite spazzolando tutto, sollevati di non dover mangiare qualche strano animale condito con chissa’ quale “delicata” salsina (generalmente al sapore di aglio o cipolla) che va tanto di moda a cape town e ci facciamo due risate con questa inaspettata amicizia.
Siamo sorpresi dalla sua forza d’animo: vive da quattro anni in questo posto in mezzo al nulla, a gestire un campeggio frequentato da avventori che si fermano una o due notti al massimo, ma soprattutto con due figli a windhoek che crescono a casa dei nonni. Li vede raramente e ci confida che e’ felicissima perche’ tra poco fara’ un viaggio con sua figlia alle Victoria falls e non ne vede l’ora.
Piu’ tardi si aggiungono alla conversazione anche tre simpatici personaggi che, per mestiere, come dicono loro stessi, regalano avventure ai turisti (gli stessi che ci disturbavano i tramonti).
Da come ne parlano, siamo decisamente sollevati di non appartenere alla categoria “all inclusive” e ce ne rallegriamo.

Ma com’e’ bello accarezzar ghepardi (Hobas-Keetmanshoop)
Lasciamo un po’ a malincuore Hobas e andiamo alla volta di Keetmanshoop, simpatica cittadina nel cuore della namibia, crocevia di traffici di ogni tipo tra la capitale e il confine col sudafrica.
Una volta vicini alla destinazione finale, ci fermiamo per un allegro pranzetto pasquale nel centro della citta’ – deserto, alla faccia del crocevia. Qui qualcuno (ma non diciamo chi..) lascia i fari della macchina accesi (chissa’ poi perche’ con questa luce accecante..). Dopo il caffe’ ci tocca quindi una bella spintarella alla tazz, che pero’, fedele, si riprende immediatamente e raggiungiamo il nostro prossimo campeggio.
Qui veniamo ricevuti da una schiera agguerrita di cani e due cinghialotti. Sono tutti innocui a quanto pare e tutti di proprieta’ dei gestori del campeggio. Beh per fortuna, non siamo stati accolti dai tre ghepardi che accudiscono – come scopriamo poco dopo - nel recinto accanto alla casa!
Gente un po’ strana ma di sicuro molto simpatica e cordiale. Poco dopo il nostro arrivo (e solo dopo una rinfrescata nella piscina del campeggio – per fortuna non popolata da coccodrilli, visto l’andazzo) ci intrattengono con un’articolata lezione sulle abitudini dei ghepardi e ci fanno anche assistere al loro pranzetto quotidiano.
Ci chiedono se vogliamo accarezzarli e indovinate chi si precipita a farlo (ancora in costumino e asciugamano) e chi invece preferisce immortalare questo momento topico?
Ebbene, dopo aver fatto amicizia coi gattoni, ci aspetta un’altra bellissima attrattiva di questo strano posto: il campeggio infatti e’ circondato da una foresta di alberi di aloe.
Bellissima pianta, tipica del sudafrica nord-occidentale e del sud della namibia, fa un certo effetto osservarla da cosi’ vicino.
E’ maestosa, massiccia, robusta..cresce in luoghi assolatissimi e praticamente senza acqua. Ci piace tanto e decidiamo di restare qui a goderci il tramonto.
Con calma ci dirigiamo poi verso i nostri ospiti, dove ceniamo assieme ad altri due giramondo tedeschi che ci raccontano qualche storia sui loro mille viaggi in Africa.
E poi arriva finalmente il momento del riposo, ma prima ... dobbiamo affrontare un’altra insidia: il bagno in mezzo alla foresta.
Non sarebbe cosi’ complicato se non fosse che questo luogo e’ popolato da mostri a quattro zampe che ci fanno decisamente paura: a meta’ strada tra ragni giganti e scarafaggi, non vogliamo neanche sapere come si chiamano ne’ tantomeno se sono velenosi.
Facciamo qualche piroetta per cercare di evitarli e poi via, di corsa ad aprire la cerniera della tenda, fiondandoci all’interno. Purtroppo pero’ quella che ci attende e’ una nottata in bianco, non per i ghepardi, non per i mostri a quattro zampe ne’ per i cinghialotti: siamo in mezzo a una tempesta di zanzare.
Nonostante siamo protetti, il ronzio continuo e tenace non fa chiudere occhio a uno dei due (chi sara’..?) e qualcuna di queste maledette e’ riuscita ad entrare e continua a punzecchiare senza ritegno (sempre solo uno/a). Sappiamo per certo che siamo in un’area non a rischio malaria ma comunque un’inizio di pazzia sembra cogliere lo/a stesso/a.

Le terme del futuro (Keetmanshoop-Ai Ais)
Chiunque sarebbe allettato dall’idea di trascorrere una giornata in meravigliose terme di acqua bollente sgorganti direttamente dal sottosuolo namibiano. Ecco, noi siamo partiti da Cape Town con l’idea di fare una sosta proprio in un posto del genere e niente e nessuno ci fermera’.
Il luogo magico in questione si chiama Ai-Ais ed e’ riportato in tutte le mappe, gli opuscoli, i tour operators e perfino da wikipedia, come sito termale di rinomata bellezza. Nonostante la simpatica namibiana del campeggio di Hobas ci abbia messo in guardia sulla reale presenza di queste terme (“le stanno ancora costruendo, tutto quello che troverete e’ una bacinella di acqua di rubinetto”), noi niente, imperterriti decidiamo di andare lo stesso.
E cosi’, dopo avere contato tutti i morsi di zanzara, manco a dirlo, la nostra tazz ci sballotta su strade e stradine, alzando polvere e costeggiando savana infinita, da Keetmanshoop al nostro obiettivo finale: lo scenario e’ di una bellezza sconcertante, tanto da renderci piu’ sopportabile il caldo torrido che ci avvolge, e qualche antilope e qualche struzzo fa capolino qua e la facendoci sobbalzare come due leoncini felici.
All’arrivo pero’ un pensiero va alla namibiana, lei ce l’aveva proprio detto e noi niente: cio’ che troviamo e’ si un complesso termale veramente maestoso ma in via di costruzione.
Evvabbuo, del resto un po’ ce l’aspettavamo e tutto quello che ci resta da fare e’ montare di nuovo la tenda in “posizione strategica” e poi abbassare di qualche decina di gradi la nostra temperatura corporea nella piscinetta del campeggio (quella c’e’), assieme agli altri avventori (irretiti anche loro come allocchi? Non osiamo chiederlo!).
Il campeggio sorge non molto distante dalle sponde del fish river: si, lo stesso fiume che abbiamo lasciato un po’ di km piu’ a nord e lo stesso fiume che ha scavato cocciutamente nella roccia per secoli, formando il meraviglioso canyon che abbiamo ammirato un paio di giorni fa. Infatti, anche da Ai-Ais e’ possibile, scarpinando scarpinando, arrivare a “dominare” dall’alto il canyon, ma scopriamo che sulle rive del fiume la temperatura si alza notevolmene, lasciandoci senza forze e senza volonta’.
La sera arriva e ci rinfresca; anche le zanzare ci danno tregua, la compagnia ci fa piacere e un morso a una bella fetta di carne ci rigenera.
Manco a dirlo, come due nonnini, crolliamo stanchi nella tenda alle 9 di sera!

Vatti a fida’del benzinaio (Ai Ais-Cederberg)
Siamo al penultimo giorno di vacanza e la saudaje ci assale.
Ma vabbe’, svegliati manco a dirlo dal primo raggio di sole, ricomponiano i pezzi della tenda e partiamo di buon’ora verso il Sudafrica, accompagnati dall’ormai onnipresente solleone.
Tutti i nostri vicini di piazzola sono svegli, come di consueto, da tempo..addirittura – ma chist so pazz - ne incontriamo due che girovagano pieni di energie in bici, facendoci sentire delle cacchette, o dei drittoni.
Andiamo alla volta dell’Orange River per un’ultima sosta a poche centinaia di metri dalla dogana ma questo Orange River sembra irrangiungibile; per poterci avvicinare alle sue sponde bisogna necessariamente entrare in una delle mille proprieta’ private che hanno costruito proprio a ridosso del fiume. Noi vogliamo solo dare un’occhiatina.
Al confine, qualche timbro qua e la’, promettiamo di non portare bombe e poi via di nuovo verso Springbok, unico baluardo di civilta’ per poter mettere qualcosa sotto i denti.
Dopo la sosta non ci arrendiamo al fatto che la vacanza volge al termine e continuiamo a girovagare per stradine laterali (e, anche qui, polverose) alla ricerca di cose interessanti da visitare, fotografare, ammirare: sulla strada per i monti del cederberg (nostra ultima tappa per la notte), troviamo un aggregato di boulders, maestose rocce dalla forma stravagante, scavate dal vento e dalla particolare stratigrafia del posto (papa’, dove sei?). Pare che in ognuna di queste rocce si possa individuare una lettera dell’alfabeto (che fantasia!)...noi abbiamo individuato solo la i col puntino.
E cosi’ al tramonto, le nostre forze si stanno per esaurire: andiamo quindi verso il campeggio, pregando in ginocchio di non trovare altre sorprese, tipo cascate da affrontare o fiumi da guadare.
Quando contattiamo il campeggio, ci rendiamo subito conto pero’ che le nostre preghiere non vengono ascoltate da chi di dovere e ci sara’ una bella dirt road da percorrere.
Raggiunto il paese piu’ vicino, dopo accese e varie discussioni stile southafrican con autoctoni, scopriamo la strada da un benzinaio “ben informato”.
Decidiamo di rifocillarci nella cittadina e avvisiamo i fattori di non aspettarci alzati, facendoci spiegare come dal cancello della proprieta’ si arriva al campeggio. Capitiamo in un’osteria-pizzeria con una cameriera fintamente indaffarata (la sgamiamo piu’ volte a fumare e bere..) e solo dopo ore e ore riprendiamo la marcia.
Durante la conversazione telefonica, la figlia del fattore ci aveva chiaramente detto che i km lungo la dirt road sarebbero stati 18. Quando il contachilometri della mitica tazz si allontana insistentemente dal numero 18, il panico inizia a crescere. Sai com’e’, all’una di notte, in una strada sterrata nel bel mezzo di un nulla sudafricano..
Qualcuno propone di tornare indietro, ma qualcun altro dice “ancora un ultimo km e poi se proprio si continua a non vedere neppure una luce si rientra”. Dopo 800 metri, ecco la farm! Come scopriremo il mattino seguente, le indicazione del benzinaio ci hanno portato ovviamente sulla strada piu’ lunga e meno agevole tra le due a disposizione.
Tiriamo un sospiro di sollievo e iniziamo a batterci 5 come due quasi adolescenti. Un’altra impresa e’ la ginkana (o si dice gintonic?) per andare dal cancello della tenuta fino al campeggio, per poi finire con il solito crollo sotto un cielo (ora fresco e) stellato..

Amen (Clanwilliam-CapeTown via Paternoster)
Essendo troppo stanchi per elaborate elucubrazioni sulla posizione del sole al mattino, abbiamo montato la tenda a caso. E infatti, per la prima volta, non siamo svegliati dal primo raggio di sole all’alba e una montagna – invisibile la notte prima – ci protegge.
Ci alziamo belli riposati e – sorpresa! - oltre alla montagna scopriamo l’esistenza di un laghetto e un fiumiciattolo di acqua limpida e fresca a 10 passi dalla tenda.
C’era sembrato infatti di sentire dell’acqua che scorreva..
Manco a dirlo, indossiamo subito i costumini e ci buttiamo tra i pesci, per poi uscire di corsa dopo pochi secondi a causa della temperatura decisamente glaciale dell’acqua.
Lasciamo il prato del campeggio - deserto, a parte una coppia di motociclisti poco lontano da noi – e ripercorrendo la ginkana, raggiungiamo la casa padronale.
Ad accoglierci, la simpatica figlia del fattore, temporanea gestrice del campeggio (neanche sapeva se fossimo arrivati o meno..), in attesa di emigrare in Germania, che ci racconta una discreta fetta della sua vita, morte e miracoli (forse non passa molta gente da quelle parti..). E’ molto amichevole e ci regala pure una marmellata di mango prodotta nella tenuta, nonche’ ci ragguaglia sulla comoda strada da seguire per il ritorno, “omessa” dal benzinaio la sera prima.
Ci ributtiamo sulla high way, alla volta di Paternoster, paesino di pescatori sulla strada verso casa.
A parte qualche segnale che ci conferma la fama relativa alla pesca (barche e reti in riva al mare, tavoli per il mercato poco dietro la spiaggia, etc..), scopriamo che deve anche essere un luogo di villeggiatura per sudafricani col money. Ovunque to giri, si vedono splendide casette bianche pregiatamente rifinite, che possono solo essere dimora in cui svernare di pensionati bianchi, o guest-house da affittare in estate a facoltosi visitatori.
Rivediamo l’oceano, dopo una settimana di deserti e montagne, e mentre ne approfittiamo per una passeggiatina nella spiaggiona (anche quella bianchissima), scorgiamo un ristorantino di pesce. Ci fiondiamo ai tavoli in spiaggia per concludere la nostra vacanza con una bella scafonata di cozze, gamberoni e pesce del golfo.
Ritorniamo poi col pilota automatico (dopo la mangiatona ci assale un sonno incredibile), e quando il tramonto sta ormai gia’ calando.