giovedì 29 aprile 2010

I miss Drakensberg

Una cosa che non porto mai dietro e che sarebbe invece indispensabile in un viaggio e’ un quadernetto per gli appunti e una penna.
Guardando i colori del cielo di un tramonto africano, ti cominciano a frullare nella testa talmente tanti pensieri che sarebbe interessante annotarli e poi rileggerli.
Quando poi ritorni a casa infatti, molte di quelle sensazioni si perdono o si affievoliscono e devi concentrarti per ritrovare proprio quella frase, proprio quel pensiero che ti sembrava cosi’ ovvio e prepotente solo pochi istanti prima.
In questo ultimo viaggio, di pensieri ne ho avuto tanti! Le montagne incontaminate, le passeggiate nell’erba alta, il caldo afoso e poi il freddo gelido dei 3000 metri, la gente basotho che ti guarda con quegli occhi neri neri, l’accoglienza della gente, il mare...tutto mi ha fatto pensare.
Questa volta siamo andati nel Kwazulu-Natal, regione orientale del Sudafrica, bagnata dall’Oceano Indiano.
Atterrati a Durban, dopo un giro per la citta’, abbiamo guidato fino alle pendici dei monti del Drakensberg, cime maestose e rigogliose che fanno da corona allo stato del Lesotho.
Il primo impatto con la citta’ non e’ stato dei migliori: il centro si presenta piuttosto sporco e sara’ che era un giorno di vacanza e sara’ che era mattino presto, ci ha dato anche un’impressione di pericolo.
Ma poi piano piano ti rendi conto che ‘sto pericolo in fondo non c’e’, quindi cominci a mollare la presa della macchina fotografica e a goderti un centro storico-bazar particolarissimo, con mille attivita’ che spuntano fuori all’improvviso o girando un angolo o entrando in una stradina, dove tutti sono intenti a contrattare le mille mercanzie, a volte veramente povere. Di tanto in tanto arrivano odori di curry..
E se entri in un negozio che vende spezie..non ne esci se non con la lingua in fiamme per tutti gli assaggi e con tante bustine di odori di ogni tipo!
Il centro di Durban e’ certamente piu’ vicino all’idea di Africa di quanto non lo sia il centro di Cape Town: anzi, e’ una colorata miscela di indiano ed africano che a tratti attira a tratti spaventa quasi...
Non mi aspettavo di trovare un caldo afoso simile: anche sulla spiaggia, dove di solito tira quel vento forte oceanico, non si muove una foglia!
E cosi’, via velocemente verso la freschezza delle montagne...(non senza prima avere assaggiato pero’ il famoso curry in un ristorante un po’ fuori dal centro, meta di famigliole indiane-africane, tutte vestite a festa)!
La prima tappa fuori dall’afa cittadina l’abbiamo fatta in una farm che ci e’ stata consigliata da amici venuti a trovarci l’anno scorso.
Non poteva andare meglio visto che, a parte un benvenuto molto caloroso da parte degli otto cani (!!!) di richard e dave, abbiamo trovato un’accoglienza decisamente familiare.
La casa dove vivono e’ stata costruita da loro quasi dalle fondamenta: hanno cercato di usare solo materiali di seconda mano e il risultato e’ originale, i particolari sono scelti con cura ed estro e tutto appare molto vissuto (tipo i pulcini che pigolano nel soggiorno!).
Tutt’intorno, alberi da frutta, recinti per le bestie che allevano, orti, laghetti, papere che scorrazzano in liberta’, insomma una vera fattoria... Ci invitano a cena e tra una foglia di lattuga appena colta e un peperone organic, ci svelano cosa li ha spinti qualche anno fa a scappare dalla citta’ e rintanarsi nel bel mezzo delle vallate del Natal (e come dargli torto!), noi gli raccontiamo un pezzetto della nostra vita e quasi li invidiamo per la serenita’ che gli si legge chiara negli occhi.
Vorremmo restare in loro compagnia ma purtroppo la nostra vacanza e’ proprio breve e le cose che desideriamo vedere innumerevoli, e cosi’ la mattina dopo saltiamo di nuovo in macchina (cani permettendo), direzione Underberg, ultimo baluardo di civilta’ prima di entrare nello sconfinato scenario delle montagne del Drakensberg-Lesotho.
I paesaggi che ammiriamo lungo la strada ci entusiasmano. Nonostante anche noi in Italia ed in Europa siamo fortunatamente abituati ad essere circondati da una natura rigogliosa e bellissima, qui c’e’ qualcosa in piu’: e’ tutto piu’ esteso, piu’ selvaggio, piu’ incontaminato. Le case sono pochissime, ogni tanto si incontra qualche villaggio con quelle costruzioni chiamate hut (pianta circolare, tetto in paglia, mura di fango indurito..) tipiche della gente zulu e le macchine che si incrociano sulla strada sono molto rare. L’occhio si perde, non vedi nessun limite.
Arriviamo in un backpacker animato da turisti tutti versione scalata: da qui infatti partono tanti sentieri per esplorare a piedi le montagne, oltre a numerose spedizioni in 4x4 verso il Lesotho..
Decidiamo di unirci proprio ad una di queste spedizioni ed andare anche noi a mettere il naso lassu, a 3500 metri (il punto piu’ alto a sud del kilimagiaro), guardare dall’altra parte e poter dire: in Lesotho c’ero anch’io!
Bello, bellissimo...pare che questo Stato (l’unico al mondo ad essere interamente circondato da un altro Stato!) sia grande quanto il Belgio e che la parte est da cui siamo entrati sia la piu’ rurale: solo strade non asfaltate, freddo intenso tutto l’anno e impossibilita’ di coltivare, quindi solo allevamento come fonte di sostentamento degli sparuti villaggi che sono insediati qui, mentre il versante opposto pare sia molto piu’ occidentalizzato.
Il freddo si sente eccome, scende a tratti anche una fittissima nebbia che rende tutto molto.. affascinante (sigh!). Ringraziamo le guide: non ci hanno fatto sentire polli, ci hanno reso invece partecipi della passione che hanno per questa terra sconfinata e meravigliosa. Abbiamo avuto la fortuna di entrare a visitare anche uno di questi tipici hut: nessuna inutile suppellettile, tutto decisamente minimal, solo un braciere sul pavimento per riscaldare e cucinare e su quel pavimento mangiano, dormono, giocano coi bimbi..e’ il centro vitale della – seppur piccolissima e senza stanze e senza finestre - casa, dominio incontrastato della donna. Una volta dentro, ti viene spontaneo chiederti come facciano a convivere con il fumo perenne emanato dal braciere..una risposta pare essere che il tetto e’ costruito con foglie e paglia in modo tale da permettere un traspirazione costante (una specie di canna fumaria), ma qualche dubbio mi e’ rimasto..
Riscendendo, una breve sosta al rifugio piu’ alto dell’Africa...sembra di stare in valle d’aosta!!Gente che chiacchiera allegramente intorno al fuoco, bevendo birra e cioccolata calda...nel giro di 10 chilometri noto una leggerissima differenza di abitudini!
E poi giu’ di nuovo all’ostello, a festeggiare degnamente questa strana Pasqua, con una cenetta in un very south african style restaurant (cioe’, mangiamo dopo circa due ore!).
Il giorno dopo decidiamo che e’ ora di andare a testare l’acqua dell’Oceano Indiano: la costa e’ affollatissima – e’ pasquetta anche qui, lo chiamano family day – il sole e’ cocente..sorpresa, anche l’acqua e’ decisamente piu’ mediterranea dell’Atlantico! E cosi’, ripensando alle montagne e alle bellezze di questi giorni, restiamo per un po’ a goderci la freschezza del mare e la chiassosa presenza dei sudafricani vacanzieri, prima che l’ennesimo aereo ci riporti a casa..

lunedì 12 aprile 2010

This is not a true desert

..ovvero raccontino un po’ in ritardo della nostra gitarella nel deserto del Kalahari

Questo deserto e’ un po’ diverso: e’ una zona semi-arida, ospita flora e fauna (relativamente) ricche, si possono ammirare alberi, in particolare acacie e migliaia di animali, addirittura fiori: se piove un secondo, il secondo dopo i prati si animano di colori vivaci (i piu’ comuni sono dei delicatissimi fiori gialli, devil’s thorn e rosa, cat’s tail). E di tanto in tanto si vedono spuntare anche dei cocomeri, ma niente cammelli o dromedari..
Insomma la vita qui e’ frenetica, a suo modo..
Cosi’ tanto frenetica, che quasi un po’ siamo delusi..ci aspettavamo dune di sabbia, caldo insopportabile e vita inesistente, di sicuro non cosi’ tanto verde ne’ tanto meno la gran varieta’ di antilopi e uccelli e animali di ogni genere che invece abbiamo trovato ( e ammirato pur sempre estasiati! ).
Siamo partiti all’alba di un caldo giorno estivo: con un piccolo aereo abbiamo lasciato Cape Town e raggiunto Upington, cittadina nel Northern Cape, afoso e umidiccio punto base per le spedizioni nel Kgalagadi Transfontier National Park, dove ci attendeva la nostra guida ( un po’ stile rambo!) e una 4x4 carica di cibo, tende e bevande per tre giorni .. e tanta tanta carne.. Il parco e’ una riserva naturale vastissima e deve il suo nome alla particolarita’ di estendersi tra tre stati: SudAfrica, Botswana e Namibia.
Da Upington ad arrivare al parco la strada e’ lunga e rovente: 250km di nulla che ben ti fanno entrare in atmosfera. Si incontrano pochissime macchine lungo il percorso e tutti ti salutano e strombazzano contenti di vedere qualche altra anima che percorre la stessa strada.
Si avvistano sporadicamente anche delle saline per la raccolta del mitico sale del kalahari: ebbene, esiste il sale anche in un posto cosi’ arido (oltretutto venduto a caro prezzo nei supermercati italiani). Pare che in alcuni particolari punti si trovino infatti delle rocce di solo cloruro di sodio: fino a qualche tempo fa, si aspettava che piovesse, dopo di che si lasciava evaporare l’acqua arricchitasi del sale delle rocce e poi lo si raccoglieva; adesso, con un po’ di tecnologia e qualche pannello solare, pompano l’acqua dal sottosuolo (senza aspettare che piova!), la lasciano evaporare e ottengono infine questo prezioso sale, dal colore un po’ rosato.
Durante il tragitto, la nostra guida parla parla ma noi, mezzi intontiti dalla levataccia, mezzi dall’entusiasmo, facciamo poco caso ai suoi racconti; tutti comunque ci sembrano piuttosto irreali, quasi fastidiosi: ci racconta di uomini capaci di legare insieme le code di due leoni, lui stesso pare che una volta sia stato attaccato da tre scorpioni allo stesso tempo e sia sopravvissuto e cosi’ via..l’ho detto, sembra un po’ rambo..
Arriviamo al campeggio intorno a mezzogiorno: il twee rivieren campsite.
Approfittando del caldo torrido e del fatto che a quest’ora gli animali generalmente fanno una pennichella, facciamo un bagno rinfrescante nella piscina ( animata da coloratissime libellule ), ci rilassiamo sotto le fronde degli alberi, montiamo le tende e organizziamo la cucina per uno spuntino...insomma trascorriamo un po’di tempo prima di un’uscita nel pomeriggio tardo alla scoperta, finalmente, di questo kgalagadi.

Mentre viaggiamo nel parco, i nostri sensi sono principalmente rivolti all’avvistamento di leoni e leopardi..ma perche’ siamo cosi’ tanto attratti dalle fiere quando di fauna ce n’e’ tanta e variegata e incredibile anche tra i piu’ “miti” erbivori? Mistero!
Nell’attesa di vedere i maestosi felini, siamo rapiti da un paesaggio meraviglioso, come gia’ detto fin troppo ricco di vegetazione rispetto a cio’ che immaginavamo ma vastissimo, unico, la presenza di ruminanti di ogni misura lo rende ancor piu’ speciale e la luce del pomeriggio tardo fa il resto ( non parliamo poi di quello splendido rosa del cielo al tramonto ).
Dopo avere viaggiato un bel po’ con la bocca aperta, la fronte incollata al finestrino e la testa gradualmente piu’ libera da pensieri “cittadini”, l’occhio si fa piu’ acuto, cominciamo ad avvistare le aquile, gli uccelli, perfino ad apprezzare i passerotti che sono di colori assurdi, alcuni hanno sfumature metalliche..un’aquila inesperta viene quasi a scontrarsi in volo contro il nostro parabrezza: e’ maestosa, per le ali, il becco, i colori... Riusciamo ad ammirarla solo per pochi istanti ma ci toglie il fiato e – anche se non dovessimo avvistare neppure un topolino di campagna da questo momento in poi – saremmo felicissimi lo stesso.
Procediamo per ore in questa semi-savana senza limiti, ad ogni chilometro che facciamo aumenta la percezione di trovarci in un luogo magico: e’ vero infatti che subito non si riesce a cogliere totalmente quello che ti circonda, ad un certo punto sei quasi stanco della “monotonia” del paesaggio, ci vuole del tempo per avere consapevolezza di dove ti trovi. Poi dopo qualche ora, forse anche un giorno, cambia qualcosa e cominci a renderti conto...sei di fronte alla potenza della natura, se scendi dalla macchina non sopravvivi, sei di fronte alla selezione naturale, qui e’ riassunta tutta la teoria dell’adattamento, della legge del piu’ forte, lo capisci sempre di piu’ ogni metro che percorri, in ogni musetto che spunta dalle tane o in ogni corno che vedi in lontananza e tutti lottano contro qualcosa di estremo, continuamente.
Il pianeta-uomo e’ tutt’altro, ma del resto e’ affascinante anche vedere che a tuo modo riesci ad adattarti ad una condizione tanto diversa quanto questa e alla fine del weekend da inesperto turista vorresti proprio restare..

Fortunatamente qui le notti sono fresche, dandoci un po’ di sollievo e – meraviglia! – il piccolo market del campeggio offre una sostanziosa selezione di vini ( notiamo che quelli non mancano mai, ovunque andiamo!Sara’ una specie di animalesca questione di sopravvivenza per chi vive e lavora in questi luoghi? ), cosi’ ci rilassiamo intorno al fuoco, con la carne sulla brace, un orecchio teso a riconoscere i versi in lontananza e un occhio pronto al possibile incontro con qualche animaluccio notturno ( e incrociamo infatti lo sguardo curioso di numerose manguste e di uno sciacallo in cerca di cibo, tutti pare perfettamente abituati all’invadente e chiassosa presenza umana ).

I leoni li vediamo l’ultimo giorno, proprio quando ormai abbiamo perso tutte le speranze.
E’ sempre una meraviglia trovarsi a due passi da uno dei felini piu’ belli, muscolosi, arroganti, mammoni del pianeta! Li spiamo mentre sbadigliano accaldati sotto le fronde di un albero, nessun erbivoro e’ nei paraggi ( considerata anche la calura.. ) e la nostra attenzione e’ tutta per loro per molto tempo.
Come se ci avessero voluto dare l’addio, visto che di li a pochi chilometri abbiamo lasciato il parco, diretti nuovamente verso Upington, l’afosa e appicicaticcia civilta’..